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Discorso Josè Saramago per il Nobel per la letteratura

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Buongiorno, cari lettori! Vi riporto il discorso di Josè Saramago in occasione della premiazione del Nobel per la letteratura. L'ho riletto un po' di tempo fa per caso, mentre aspettavo un esame. Mi è rimasto impresso e l'ho voluto condividerlo con voi. 
Al giardino dei Novizi della facoltà dei Benedettini di Catania, in mezzo al verde, ho trovato un comodo posto all'ombra, mentre molti ragazzi lì vicino festeggiavano le lauree con parenti e amici, in mezzo a canzoni e tappi di spumante che volavano in aria... Io stavo lì a sognare ad occhi aperti e a riflettere sulla grandezza di questo scrittore, critico letterario, poeta, drammaturgo e giornalista portoghese. Le sue parole sono e rimarranno senza tempo... 
Piccola "chicca"... Se volete scoprire e ammirare per la prima volta (o nuovamente), anche se solo via internet, il Monastero, guardate il sito http://www.monasterodeibenedettini.it/virtual_tour/! 
Si tratta di un virtual tour per immagini a 360 gradi, gratuitamente curato dal fotografo Antonino Del Popolo, che ha immortalato in alta definizione 13 bellissimi ambienti della struttura. Buona lettura!



"L'uomo più saggio che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita non sapeva leggere o scrivere. Alle quattro del mattino, quando la promessa di un nuovo giorno indugiava ancora sulle terre francesi, egli si alzò dal suo giaciglio e se ne andò per i campi, portando al pascolo la mezza dozzina di maiali la cui fertilità nutrito lui e sua moglie. I genitori di mia madre ha vissuto su questa scarsità, sul piccolo allevamento di maiali che dopo lo svezzamento sono stati venduti ai vicini di casa nel nostro paese di Azinhaga in provincia di Ribatejo. I loro nomi erano Jerónimo Meirinho e Josefa Caixinha ed erano entrambi analfabeti. In inverno, quando il freddo della notte è cresciuta al punto di congelamento dell'acqua nei vasi all'interno della casa, si sono recati al porcile e recuperati i deboli tra i maialini, portandoli al loro letto. Sotto le coperte grossolane, il calore dagli umani ha salvato i piccoli animali dal gelo e li salvò da morte certa. Anche se i due sono stati gentilmente le persone, non era un'anima compassionevole che li ha spinti ad agire in quel modo: ciò che li riguardava, senza sentimentalismi o retorica, era quello di proteggere il loro pane quotidiano, come è naturale per le persone che, per mantenere la loro vita, non hanno imparato a pensare più di quanto sia necessario. 


Molte volte ho aiutato mio nonno Jerónimo nel lavoro, molte volte del suo porcaro ho scavato la terra nell'orto adiacente la casa, e ho tagliato la legna per il fuoco, molte volte, girando e girando la grande ruota di ferro che ha funzionato la pompa dell'acqua. Ho pompato l'acqua dalla comunità bene e lo portai sulle mie spalle.Molte volte, in segreto, schivando dagli uomini a guardia dei campi di grano, sono andato con mia nonna, anche all'alba, armati di rastrelli, saccheggio e il cavo, di raccogliere le stoppie, la paglia sciolto che sarebbe poi servire come lettiera per il bestiame. E a volte, nelle calde notti d'estate, dopo cena, mio ​​nonno mi diceva: "Josè, stasera andiamo a dormire, sia di noi, sotto il fico". Ci sono stati altri due alberi di fico, ma quello certamente perché era il più grande, perché era il più vecchio e senza tempo, è stato, per tutti in casa, l'albero di fico. Più o meno per antonomasia, una parola erudita che ho conosciuto solo molti anni dopo e ho imparato il significato... Tra la quiete della notte, tra alti rami dell'albero una stella apparve a me e poi, lentamente, si nascose dietro un po' di foglie, girando lo sguardo in un'altra direzione che ho visto in aumento in vista, come un fiume che scorre silenzioso nel cielo vuoto, la chiarezza opale della Via Lattea, il Cammino di Santiago come siamo ancora abituati a chiamarlo in paese. Con il sonno ritardata, la notte era popolata con le storie dei casi mio nonno ha detto e ha detto: leggende, apparizioni, spaventi, episodi unici, vecchie morti, tafferugli con bastoni e pietre, le parole dei nostri antenati, un instancabile diceria di ricordi che avrebbe tenermi sveglio, mentre allo stesso tempo delicatamente mi cullante. Potrei mai sapere se lui taceva quando si accorse che mi ero addormentato, o se continuava a parlare in modo da non lasciare a metà senza risposta la domanda che ho sempre chiesto in più ritardato pause mise apposta all'interno del conto: "E cosa è successo dopo? " Forse ha ripetuto le storie per se stesso, per non dimenticarle, oppure per arricchire con nuovi dettagli. A che età e come tutti noi a un certo momento, manco a dirlo, ho immaginato mio nonno Jerónimo era padrone di tutta la conoscenza del mondo. Quando alle prime luci del canto degli uccelli mi ha svegliato, lui non c'era più, era andato al campo con i suoi animali, lasciandomi dormire. Poi mi alzavo, piegata la coperta ruvida a piedi nudi - nel villaggio ho sempre camminato a piedi nudi fino all'età di quattordici anni - e con cannucce ancora bloccato nei miei capelli, sono andato dalla parte coltivata del cantiere per l'altra parte, dove erano i porcili, per la casa. Mia nonna, già in corso di realizzazione prima di mio nonno, di fronte a me una grande ciotola di caffè con pezzi di pane e mi ha chiesto se avevo dormito bene. 
Se ho detto qualche brutto sogno, nato da racconti di mio nonno, mi ha sempre rassicurato: "Non fare molto di esso, nei sogni non c'è niente di solido". Al momento ho pensato che, anche se la mia nonna era anche una donna molto saggia, che non poteva salire alle altezze del nonno, un uomo che, sdraiato sotto un albero di fico, con al suo fianco José suo nipote, potrebbe impostare l'universo in moto solo con un paio di parole. Fu solo molti anni dopo, quando mio nonno aveva lasciato questo mondo e io ero un uomo adulto, che mi sono finalmente reso conto che mia nonna, dopo tutto, ha creduto anche nei sogni. Non ci poteva essere nessun altro motivo per cui, seduto una sera alla porta della sua casa dove ora viveva da sola, a fissare il più grande e il più piccolo stelle sopra la testa, disse queste parole: "Il mondo è così bello ed è un vero peccato che devo morire ". Non ha detto che aveva paura di morire, ma che era un peccato di morire, come se la sua dura vita di lavoro incessante era, in quel momento quasi finale, ricevendo la grazia di una suprema e ultimo addio, la consolazione della bellezza rivelato. Era seduta davanti alla porta di una casa come nessun altro posso immaginare in tutto il mondo, perché in essa vive la gente che poteva dormire con suinetti, come se fossero i propri figli, le persone che erano dispiaciuto di lasciare la vita solo perché il mondo era bello, e questo Jerónimo, mio ​​nonno, guardiano di porci e cantastorie, sentendo la morte per arrivare a prenderlo, è andato e ha detto addio agli alberi del cortile, uno per uno, li abbraccia e piange, perché sapeva che non avrebbe vedere di nuovo. 


Molti anni più tardi, scrivendo per la prima volta di mio nonno Jerónimo e di mia nonna Josefa (non ho detto finora che era, a detta di molti che la conoscevano da giovane, una donna di rara bellezza), ero finalmente consapevole che è stato trasformando la gente comune in personaggi letterari: questo è stato, probabilmente, il mio modo di non dimenticarli, disegnando e ridisegnando i loro volti con la matita che mai la memoria modifica, colorando e illuminando la monotonia di una routine quotidiana noiosa e senza orizzonte, come se creando, oltre la mappa instabile della memoria, l'irrealtà soprannaturale del paese in cui si è deciso di spendere la propria vita. Lo stesso atteggiamento della mente che, dopo aver evocato la figura affascinante ed enigmatica di un certo nonno berbero, porterebbe me descrivere più o meno in queste parole una vecchia foto (ormai quasi 80 anni di età) che mostra i miei genitori "sia in piedi, bello e giovane, di fronte al fotografo, mostrando nei loro volti un'espressione di serietà solenne, forse paura di fronte alla telecamera nello stesso istante in cui la lente è in procinto di acquisire l'immagine non potranno mai avere di nuovo, perché il giorno seguente sarà, implacabilmente , un altro giorno... Mia madre appoggia il gomito destro contro un pilastro alto e tiene, a disegnato per il suo corpo, un fiore con la mano destra. Mio padre ha il suo braccio intorno la schiena di mia madre, la sua mano callosa mostrando sopra la spalla, come un'ala. Sono in piedi, timido, su un tappeto decorato con rami. La tela che formano lo sfondo falso della figura mostra l'architettura neo-classica diffusa e incongruo. Verrà il giorno in cui vi dirò queste cose Nulla di questo importa se non per me Un nonno berbero dal Nord Africa, un altro nonno un porcaro, un meravigliosamente bella nonna,.. Genitori seri e bello, un fiore in un picture - quale altra genealogia dovrei curare e quale migliore albero dovrei appoggiarmi "?? 



Ho scritto queste parole, quasi trent'anni fa, che non ha altro scopo che quello di ricostruire e registrare istanti di vita di quelle persone che ha generato e sono stati più vicini al mio essere, di pensare che nient'altro avrebbe bisogno di spiegare che la gente sappia da dove vengo e quali materiali la persona mi è stata fatta di cosa sono diventato a poco a poco. Ma dopo tutto mi sbagliavo, la biologia non determina tutto e come per la genetica, molto misterioso dovevano essere i suoi percorsi per rendere i suoi viaggi così lunghi... Il mio albero genealogico (si perdoni la presunzione di chiamare in questo modo, essendo così diminuita nella sostanza della sua linfa) mancava non solo alcuni di quei rami che il tempo e gli incontri successivi della vita causano a scoppiare dal fusto principale, ma anche a qualcuno di aiutarvi le sue radici penetrano negli strati più profondi sotterranei, qualcuno che potesse verificare la consistenza e il sapore dei suoi frutti, qualcuno per estendere e rafforzare la sua cima per fare di esso un rifugio per gli uccelli migratori e un supporto per i nidi. In un certo senso si potrebbe anche dire che, lettera per lettera, parola per parola, pagina per pagina, libro dopo libro, sono stato successivamente a impiantare nell'uomo i personaggi che ho creato. Io credo che senza di loro non sarei la persona che sono oggi, senza di loro forse la mia vita non sarebbe riuscita a diventare più di uno schizzo inesatta, una promessa che come tanti altri è rimasto solo una promessa, l'esistenza di qualcuno che forse avrebbe potuto essere, ma alla fine non riusciva ad essere. 
Ora posso vedere chiaramente chi erano i maestri della mia vita, quelli che più intensamente mi hanno insegnato il duro lavoro, quelle decine di personaggi dei miei romanzi e opere teatrali che in questo momento vedo marciare passato davanti ai miei occhi, quegli uomini e donne di carta e inchiostro, quelle persone che credevo mi guidavano come il narratore ha scelto secondo il mio capriccio, obbedienti alla mia volontà come autore, come marionette articolate le cui azioni potrebbero non avere più effetto su di me. 
Di quei maestri, il primo è stato, senza dubbio, un mediocre ritrattista, che io chiamavo semplicemente H, il protagonista di una storia che sento possa ragionevolmente essere chiamata una doppia iniziazione (il suo, ma anche in un certo senso il dell'autore) intitolato Manuale di pittura e calligrafia, che mi la semplice onestà di riconoscere e osservare insegnato, senza risentimento o frustrazione, i miei limiti: come non ho potuto e non aspirare ad avventurarsi oltre il mio piccolo appezzamento di terreno coltivato, tutto quello che avevo sinistra era la possibilità di scavare giù, sotto, verso le radici. Non è da me, ovviamente, valutare i meriti dei risultati degli sforzi fatti, ma oggi considero ovvio che tutto il mio lavoro da allora in poi ha obbedito tale scopo e che tale principio. 
Poi vennero gli uomini e le donne di Alentejo, quella stessa fratellanza dei condannati della terra in cui apparteneva mio nonno Jerónimo e mia nonna Josefa, contadini primitivi obbligati a noleggiare la forza delle loro braccia per un salario e condizioni di lavoro che meritava solo di essere chiamato infame, ottenendo per meno di niente una vita che gli esseri colti e civilizzati siamo orgogliosi di chiamare- a seconda delle occasioni - prezioso, sacro e sublime. La gente comune che conoscevo, ingannati da una Chiesa sia complice e beneficiario del potere dello Stato e dei padroni di casa, la gente guardava in modo permanente da parte della polizia, la gente così tante volte vittime innocenti della arbitrarietà di una falsa giustizia. Tre generazioni di una famiglia di contadini, i Badweathers, a partire dall'inizio del secolo fino alla Rivoluzione di Aprile del 1974 che ha rovesciato la dittatura, si muovono attraverso questo romanzo, chiamato risorto da terra, ed era con tali uomini e donne risorti dal suolo, persone vere prime, figure di finzione dopo, che ho imparato a essere paziente, a fidarsi e confidare nel tempo, quello stesso tempo che costruisce contemporaneamente e ci distrugge per costruire e ancora una volta a distruggerci. L'unica cosa che non sono sicuro di aver assimilato in maniera soddisfacente è qualcosa che il disagio di quelle esperienze si trasformò in virtù di quelle donne e uomini: un atteggiamento naturalmente austero verso la vita. Avendo a mente, tuttavia, che la lezione imparata ancora dopo più di 20 anni rimane intatto nella mia memoria, che ogni giorno mi sento la sua presenza nel mio spirito come un richiamo persistente: non ho perso, non ancora almeno, la speranza di meritare un po 'di più la grandezza di quegli esempi di dignità proposto a me nella vasta immensità delle pianure di Alentejo. Il tempo ci dirà. 
Quali altre lezioni avrei potuto ricevere da un portoghese che visse nel XVI secolo, che ha composto le Rimas e le glorie, i relitti e le disillusioni nazionali nelLusíadas, che era un genio poetico assoluto, il più grande della nostra letteratura? Non importa quanto dolore ne consegue per Fernando Pessoa, che si proclamò la sua super Camões? Nessuna lezione mi si adatterebbe, nessuna lezione potrei imparare, tranne la più semplice, che avrebbe potuto essere offerto a me da Luís Vaz de Camões nella sua pura umanità, per esempio, l'umiltà fieri di un autore che va a bussare ad ogni porta in cerca di qualcuno disposto a pubblicare il libro che ha scritto, subendo in tal modo il disprezzo degli ignoranti di sangue e di razza, l'indifferenza sprezzante di un re e del suo potente entourage, la presa in giro con cui il mondo ha sempre ricevuto le visite di poeti, visionari e pazzi . Almeno una volta nella vita, ogni autore è stato, o dovrà essere, Luís de Camões, anche se non hanno scritto la poesia Sôbolos Rios ... Tra nobili, cortigiani e censori della Santa Inquisizione, tra gli amori di ieri anni e le delusioni di vecchiaia prematura, tra il dolore di scrittura e la gioia di aver scritto, è stato questo l'uomo malato, tornando povero dall'India dove così molti navigato solo per arricchirsi, era questo soldato cieco da un occhio, tagliato nella sua anima, era questo seduttore senza fortuna chi lo farà mai più svolazzano i cuori delle signore nella corte reale, che ho messo in scena in un commedia intitolata "Che devo fare con questo libro", il cui finale ripete un'altra domanda, l'unica veramente importante, quello che non sapremo mai se avrà mai una risposta sufficiente:"Cosa farai con questo libro"? è stato anche umilmente orgoglioso di portare sotto il braccio un capolavoro e di essere ingiustamente rifiutato dal mondo. Troppo ostinato troppo voler sapere quale sia lo scopo sarà, domani, dei libri che stiamo scrivendo oggi, e subito dubitare che esse durerà a lungo? Per quanto tempo? Le ragioni rassicuranti ci sono date da noi stessi. 
Arriva un uomo la cui mano sinistra è stata presa in guerra e una donna che si è venuto a questo mondo con il misterioso potere di vedere cosa c'è oltre la pelle della gente. Il suo nome è Baltazar Mateus e il suo soprannome Sette-Soli, lei è nota come Blimunda e anche, più tardi, come Sette-Lune perché è scritto che dove c'è un sole che ci dovrà essere una luna e che solo il congiunto e armonioso presenza l'uno e l'altro si, per amore, rendere la terra abitabile. Ci si avvicina anche un prete gesuita chiamato Bartolomeu che ha inventato una macchina in grado di andare fino al cielo e volare con nessun altro combustibile che la volontà umana, la volontà che, si dice, si può fare qualsiasi cosa, la volontà che non poteva, o non ha sa, o fino a oggi non ha voluto, essere il sole e la luna di semplice gentilezza o di rispetto ancora più semplice. Questi tre sciocchi portoghesi del XVIII secolo, in un tempo e paese dove la superstizione dei roghi dell'Inquisizione fiorirono, se ciò il mondo, in una ipotesi molto improbabile, aveva occhi abbastanza per vedere il Portogallo, gli occhi come di Blimunda, occhi per vedere ciò che era nascosto... Arriva anche una folla di migliaia e migliaia di uomini con le mani sporche e callose, corpi esausti dopo aver sollevato anno dopo anno, le mura del convento implacabili, le enormi stanze del palazzo, le colonne e pilastri, i campanili ariosi , la cupola della basilica sospesa sul vuoto. I suoni che sentiamo sono da clavicembalo di Domenico Scarlatti, e lui non si sa bene se si suppone che sia ridere o piangere ... Questa è la storia di Baltazar e Blimunda, un libro in cui l'autore apprendista, grazie a ciò che era stato da tempo insegnato a lui nei suoi nonni Jerónimo e il tempo di Josefa, è riuscito a scrivere alcune parole simili non senza poesia: "Oltre a parlare di donne, i sogni sono ciò che tenere il mondo nella sua orbita., ma è anche sogni che corona con lune, ecco perché il cielo è lo splendore in testa agli uomini, a meno che le teste degli uomini sono l'unico e solo cielo. " Così sia. 
Della poesia l'adolescente sapeva già alcune lezioni, apprese nei suoi libri di testo, quando, in una scuola tecnica a Lisbona, veniva preparato per il commercio che avrebbe avuto, all'inizio della vita del suo lavoro: meccanico.Inoltre ha avuto maestri buona poesia durante le lunghe ore serali in biblioteche pubbliche, leggendo a caso, con reperti provenienti da cataloghi, senza guida, nessuno di consigliare lui, con lo stupore creativo del marinaio che inventa ogni luogo egli scopre. Ma è stato presso la School Library Industrial con  "L'anno della morte" di Ricardo Reis che ha iniziato a scrivere... Lì, un giorno il giovane meccanico (aveva circa diciassette anni) ha trovato una rivista intitolata Atena contenenti poesie firmate con quel nome e, naturalmente, non conoscendo bene la cartografia letteraria del suo paese, ha pensato che c'era davvero un poeta portoghese chiamato Ricardo Reis. Ben presto, però, ha scoperto che questo poeta è stato davvero uno Fernando Nogueira Pessoa, che ha firmato le sue opere con i nomi dei poeti inesistenti, nati dalla sua mente. Ha chiesto loro eteronimi, una parola che non esisteva nei dizionari del tempo, che è il motivo per cui era così difficile per l'apprendista di lettere per sapere che cosa significasse. Ha imparato molte delle poesie di Ricardo Reis 'a memoria ("Per essere grande, essere uno/Mettiti nelle piccole cose che si fanno"), ma a dispetto di essere così giovane e ignorante, che non poteva accettare che una mente superiore potrebbe davvero hanno concepito, senza rimorsi, la linea crudele "Saggio è colui che è soddisfatto con lo spettacolo del mondo". Più tardi, molto più tardi, l'apprendista, già con i capelli grigi e un po' più saggio nella sua saggezza, il coraggio di scrivere un romanzo per mostrare questo poeta delle Odi qualcosa circa lo spettacolo del mondo del 1936, dove si era messo a vivere i suoi ultimi giorni: l'occupazione della Renania da parte dell'esercito nazista, la guerra di Franco contro la Repubblica spagnola, la creazione da Salazar delle milizie fasciste portoghesi. Era il suo modo di dirgli: "Ecco lo spettacolo del mondo, il mio poeta di amarezza serena ed elegante scetticismo Godetevi, ecco, dal momento che ad essere seduti è la tua saggezza ..." 

L'anno della morte di Ricardo Reis si è conclusa con le parole malinconiche: "Qui, dove il mare è finito e la terra attende." Così non ci sarebbero più scoperte di Portogallo, destinato a una attesa infinita nemmeno immaginabili, solo il solito fado, la stessa vecchia saudade e poco più... Poi l'apprendista immaginato che ancora potrebbe essere un modo di inviare le navi di nuovo all'acqua, per esempio, spostando la terra e l'impostazione che in mare. Un frutto immediato di risentimento portoghese collettiva del disprezzo storico dell'Europa (più esatto dire frutto del mio risentimento) il romanzo. Ho quindi scritto "La zattera di pietraseparata dal continente tutta la penisola iberica e la trasformò in un grande isola galleggiante, spostando di propria iniziativa, senza remi, senza vele, senza eliche, in direzione sud, "una massa di pietra e di terra, coperta di città, villaggi, fiumi, boschi, fabbriche e cespugli, seminativo, con la sua gente e gli animali "a suo modo ad una nuova utopia: l'incontro culturale dei popoli della penisola con i popoli provenienti dall'altra parte dell'Atlantico, in modo da sfidare - la mia strategia è andato così lontano - la regola soffocante esercitato su quella regione da parte degli Stati Uniti d'America ... Una visione utopica due volte avrebbe visto questa fiction politica come una metafora molto più generosa e umana: che l'Europa, tutta, dovrebbe muoversi Sud per contribuire ad equilibrare il mondo, come compenso per il suo suoi attuali abusi coloniali ed ex. Cioè, l'Europa finalmente come un riferimento etico. I personaggi di "La zattera di pietra"- due donne, tre uomini e un cane - viaggiano continuamente attraverso la penisola come solca l'oceano. Il mondo sta cambiando e sanno che devono trovare in se stessi le nuove persone che diventeranno (per non parlare del cane, lui non è come gli altri cani). Questo sarà sufficiente per loro. 
Poi l'apprendista ha ricordato che in un tempo remoto della sua vita aveva lavorato come correttore di bozze e che se, per così dire, in "La zattera di pietra" aveva rivisto il futuro, ora potrebbe non essere una cosa negativa di rivedere il passato , inventando un romanzo chiamato "Storia dell'assedio di Lisbona", in cui un correttore di bozze, il controllo di un libro con lo stesso titolo, ma un vero e proprio libro di storia e stanco di guardare come "Storia"è sempre meno in grado di sorprendere, decide di sostituire un "sì" per un "no", sovvertendo l'autorità di "verità storica". Raimundo Silva, il correttore di bozze, è un uomo semplice e comune, che si distingue dalla folla solo credendo che tutte le cose hanno i loro lati visibili e le loro quelli invisibili e che sapremo nulla su di loro fino a quando riusciamo a vedere entrambi. Parla di questo con lo storico così: "Mi preme ricordare che i correttori di bozze sono persone serie, molto esperti nella letteratura e nella vita, il mio libro, non dimenticare, si occupa di storia. Le altre contraddizioni, a mio modesto parere, Signore, tutto ciò che non è la letteratura è vita, la storia e, soprattutto la storia, senza voler offendere, e la pittura e la musica, la musica ha resistito fin dalla nascita, che viene e va, prova a liberarsi dalla parola, suppongo per invidia, solo per presentare, alla fine, e la pittura, Bene, ora, la pittura non è altro che la letteratura ottenuto con pennelli. Conoscete il proverbio "se non avete un cane, andate a caccia con un gatto?". In altre parole l'uomo che non sa scrivere, dipingere o disegnare, come se fosse un bambino, cosa si stanno cercando di dire, in altre parole, è che la letteratura esisteva già prima di nascere, sì, signore, proprio come l'uomo che, in un certo senso, esisteva prima che egli è venuto in essere. Mi colpisce il fatto che avete perso la vostra vocazione , avrebbe dovuto diventare un filosofo, o storico. Ha il fascino e il temperamento necessario per queste discipline, ti manca la necessaria formazione, signore, e cosa può fare un uomo semplice raggiungere senza l'addestramento? è  più che fortunato di venire al mondo con i miei geni in ordine, ma in uno stato grezzo, per così dire, e poi senza istruzione oltre la scuola elementare. Potreste essere presentato come autodidatta, il prodotto dei vostri sforzi meritevoli, non c'è niente di cui vergognarsi. La società in passato ha avuto l'orgoglio nei suoi autodidatti; non più però ora, perché è arrivato il progresso e pone fine a tutto questo. Ora gli autodidatti sono disapprovati, solo coloro che scrivono versi divertenti e storie che hanno il diritto di essere e continuare ad essere autodidatti, fortunatamente per loro, ma per quanto mi riguarda, devo confessare che non ho mai avuto alcun talento per la creazione letteraria. Diventa un filosofo, un uomo, hai un acuto senso dell'umorismo, Signore, con un gusto distinto per ironia, e chiedo io come mai è venuto a dedicarsi alla storia, seria e profonda scienza come è. Mi ha sempre colpito il fatto che la storia non è la vita reale, la letteratura sì, e non altro, ma la storia era la vita reale al momento in cui non poteva ancora essere chiamata storia. Così si crede, signore, che la storia è la vita reale, naturalmente, lo faccio, volevo dire che la storia era la vita reale, senza dubbio a tutti, che cosa sarebbe sarà di noi se la Deleatur non esistesse, sospirò il correttore di bozze ". E 'inutile aggiungere che l'apprendista aveva imparato, con Raimundo Silva, la lezione di dubbio. Era ora. 

Beh, probabilmente è stato questo l'apprendimento di dubbio che lo fece passare attraverso la stesura di Il Vangelo secondo Gesù Cristo. 


Vero, e lui ha detto così, il titolo è stato il frutto di un'illusione ottica, ma è giusto chiedersi se sia stato l'esempio del correttore di bozze che, per tutto il tempo, era stato preparato il terreno da dove il nuovo romanzo sarebbe dovuto sgorgare. Questa volta non era una questione di guardare dietro le pagine del Nuovo Testamento, ma di illuminare la loro superficie, come quella di un dipinto, con una luce bassa per aumentare il loro sollievo, le tracce di incroci, le ombre di depressioni. In questo Vangelo, scritto dall'apprendista con il grande rispetto dovuto al grande dramma, Giuseppe sarà consapevole della sua colpa, accetterà rimorso come punizione per il peccato che ha commesso e che verrà adottata a morire quasi senza resistenza, come se questo fosse l'ultima cosa che rimane da fare per cancellare i suoi conti con il mondo. Il Vangelo dell'apprendista non è, di conseguenza, una leggenda più edificante di esseri beati e degli dei, ma la storia di alcuni esseri umani sottoposti ad un potere che combattono, ma non possono sconfiggere. Gesù, che erediterà i sandali polverosi con cui suo padre aveva camminato tante strade di campagna, erediterà anche il suo tragico senso di responsabilità e di colpa che non lo abbandonerà mai, nemmeno quando si alza la voce dall'alto della croce: "Gli uomini, lo perdonano perché sa non quello che ha fatto", riferendosi sicuramente al Dio che lo ha mandato lì, ma forse anche se in tale ultima agonia, egli ricorda ancora, il suo vero padre che lo ha generato umanamente in carne e ossa. Come si può vedere, l'apprendista aveva già fatto un lungo viaggio, quando nel suo Vangelo eretico scriveva le ultime parole del dialogo tra Gesù e il tempio dello scriba: "Il senso di colpa è un lupo che mangia il suo cucciolo, dopo aver divorato il suo padre, il lupo di cui parli ha già divorato mio padre, allora lo sarà presto il vostro turno. E tu, sei stato non solo divorato, ma anche vomitato ". 

L'imperatore Carlo Magno non aveva stabilito un monastero in Germania settentrionale, l'origine della città di Münster. Münster non aveva voluto celebrare il suo dodici centesimo anniversario con un'opera sulla guerra terribile cinquecentesco tra anabattisti protestanti e cattolici , l'apprendista non avrebbe scritto il suo gioco "In Nomine Dei". Una volta di più, senza altro aiuto che la piccola luce della sua ragione, l'apprendista doveva penetrare il labirinto oscuro di credenze religiose, le credenze che rendono così facilmente gli esseri umani uccidere ed essere uccisi. E quello che ha visto è stato, ancora una volta, la maschera orrenda di intolleranza, una intolleranza che a Münster divenne un parossismo folle, una intolleranza che ha insultato la causa stessa che entrambe le parti hanno affermato di difendere. Perché non era una questione di guerra in nome di due divinità ostili, ma della guerra in nome di uno stesso dio. Accecato dalla loro convinzioni, gli anabattisti ei cattolici di Münster erano incapaci di comprendere la più evidente di tutte le prove: il giorno del giudizio, quando entrambe le parti si fanno avanti per ricevere la ricompensa o la punizione che meritano per le loro azioni sulla terra. Dio, se le sue decisioni sono governati da qualcosa di simile logica umana, dovrà accettarle tutte in Paradiso, per la semplice ragione che tutti credono. Il terribile massacro di Münster ha insegnato l'apprendista che le religioni, nonostante tutti hanno promesso, non sono mai stati utilizzati per riunire gli uomini e che la più assurda di tutte le guerre è una guerra santa, visto che Dio non può, anche se volesse, dichiarare guerra su se stesso ... 
Cieco. L'apprendista pensò: "Siamo ciechi", e si è seduto e ha scritto "Cecità" per ricordare a coloro che potrebbero leggerla che la dignità umana è insultata ogni giorno dai potenti del nostro mondo, che l'universale menzogna ha sostituito le verità plurali, che l'uomo si fermò rispettando se stesso quando ha perso il rispetto dovuto a suoi simili. Poi l'apprendista, come se cercasse di esorcizzare i mostri generati dalla cecità della ragione, ha iniziato a scrivere la più semplice di tutte le storie: una persona è alla ricerca di un altro, perché ha capito che la vita non ha niente di più importante da esigere da un essere umano. Il libro si chiama "Tutti i nomi". Tutti i nostri nomi ci sono: i nomi dei vivi e dei nomi dei morti. 
Concludo. La voce che legge queste pagine ha voluto essere l'eco delle voci congiunti dei miei personaggi. Non ho, per così dire, più voce che le voci che avevano. Me se quello che è sembrato poco a te, per me perdonare è tutto".



“Io vi vedo” di Simonetta Santamaria

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Un thriller mozzafiato, crudo e a tratti crudele, che riesce a coinvolgere il lettore facendolo entrare in simbiosi col protagonista. In “Io vi vedo”(Tre60 editore,Milano2013, pp.363, euro 9.90) Simonetta Santamaria racconta la storia di Maurizio Campobasso, capo anticrimine di Napoli, la cui vita viene stravolta da due eventi: la tragica uccisione della giovane figlia Lucia e la perdita di alcuni suoi uomini, considerati un po’ come suoi figli, in seguito a una soffiata “sicura”, rivelatasi una trappola. In quest’ultima occasione Campobasso perderà un occhio, che conserverà in un barattolo, e deciderà quindi di ritirarsi dal lavoro.
Omicidi efferati, dei quali non si riescono a trovare i colpevoli, istituzioni che brancolano nel buio, dubbi sui principi della vita, su cosa è giusto e cosa è ingiusto fare, esistenze spezzate troppo presto che portano all'isolamento di Campobasso, alla sua tragedia interiore e familiare. Unico obiettivo della sua vita rimarrà la scoperta degli assassini della figlia e la vendetta. Quel bulbo galleggiante, che fa thud thud contro il vetro del barattolo, lo aiuterà, permettendogli di essere trasportato nell'abisso in cui incontrerà la figlia uccisa.  I morti gli daranno delle dritte per le indagini. L’ex sbirro diventerà un assassino e si farà giustizia da solo, sopraffatto da una furia devastante, un’ira implacabile che lo possiede, tanto che anche il suo gatto Silver non lo riconoscerà più. 




Notte con Mario Benedetti

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La carezza è un linguaggio
se le tue carezze mi parlano
non vorrei che tacessero
La carezza non è la copia
di un’altra carezza lontana
è una nuova versione
quasi sempre migliorata
È la festa della pelle
la carezza mentre dura
e quando si allontana lascia
senza difesa la lussuria
Le carezze dei sogni
che sono prodigio ed incanto
hanno un difetto
non hanno tatto
Come avventura ed enigma
la carezza incomincia prima
di convertirsi in carezza
È chiaro che la cosa migliore
non è la carezza in se stessa
bensì la sua continuazione

Andromaca: creatura integra e moderna nel XLVII ciclo delle rappresentazioni classiche a Siracusa

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 (articolo del maggio 2011)

Una donna che rappresenta un insieme di donne: madre, moglie devota e poi vedova inconsolabile. Esule, sola, combattiva, forte. In una parola: Andromaca.
Quest’anno anno l’eroina euripidea, insieme al Filottete di Sofocle, è  protagonista al Teatro greco di Siracusa del XLVII Ciclo di Spettacoli Classici, inaugurato l’11 maggio e che si concluderà il 26 giugno.


Riveste il complesso ruolo di Andromaca Laura Marinoni, che con grande perizia tecnica e sensibilità, dopo aver interpretato nel 2002 il ruolo di Io nel “Prometeo incatenato”, ritorna sul colle Temenite con la sfida di mettere a nudo l’esperienza del dolore di una madre che lotta per la sopravvivenza del proprio figlio, di una donna emarginata da una società lontana dal luogo da cui proviene. 


Sconsolata, profonda e ricca di sentimenti si presenta  la sua Andromaca. Estrosa, elegante e orgogliosamente bella è , invece, Ermione, interpretata da Roberta Caronia. 


Tra le due si pone Anna Teresa Rossini, che impersonando la schiava di quella che fu regina, ora schiava, fa vivere angoscia e sorpresa e la vasta gamma di dolori che ne discendono. Andromaca è una creatura integra: privata di marito, patria e privilegi regali. L’unica cosa che possiede ancora è la dignità. Proprio lei insegna il valore etico alla figlia del re.
Davide Susanetti, traduttore della tragedia, utilizza un lessico immediato e un registro basso per non offuscare l’impresentabile oscenità che il testo euripideo mette a nudo.
La tragedia appare volutamente scabra ed essenziale, proprio perché in tale essenzialità emerge il profilo crudo di un discorso sul potere e sulla violenza. 
La scenografia è lineare, ma ricca di significato, impreziosita dalle vibrazioni delle “scaglie metalliche” del mare creato. In mezzo alla scena campeggia quel che resta di una barca spezzata, l’altare della dea Teti, in un palco rivestito di specchi.


“Questa sorta di lago ghiacciato, di mare fermo diventato specchio, mi sembra il luogo dell’anima di Teti”, ha affermato il regista De Fusco. ”La suggestione che mi ha portato a elaborare questa immagine deriva principalmente dal finale, ma anche da un’allusione di Andromaca nel prologo al fatto che il luogo dove vivevano Peleo e Teti, e dove è ambientato il dramma, fosse un luogo isolato”.
Ma perché la scelta proprio dello specchio? “Credo che il pavimento di specchio sia particolarmente efficace dal punto di vista visivo, nel caso di un teatro dove gli spettatori guardano dall’alto. Ci siamo divertiti con lo scenografo Maurizio Balò a immaginare come la natura modificherà questa scenografia, perché l’ora del giorno, la luce del tramonto, il tempo atmosferico, il passaggio delle nuvole renderanno l’effetto visivo continuamente mutevole. La scenografia, quindi, in parte è determinata dalla natura”. Ma la scenografia rimanda anche all’atroce attualità dei profughi. Andromaca fa pensare alle donne che devono battersi per sopravvivere e per proteggere i propri figli. Il suo dramma si rispecchia in  un dramma prossimo alla nostra sensibilità: le conseguenze della guerra, gli amori e le violenze che la accompagnano, il finale trionfo della vera virtù sono le componenti, che rimangono sempre attuali.
L’elemento acqua è uno dei fili conduttori nello svolgersi della vicenda, un leit motiv che ha caratterizzato la tragedia. Un mare che ha   assistito al dramma, ispirando le coreografie di Alessandra Panzavolta, direttrice del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, la quale ha pensato di far muovere il coro e gli attori “come se fossero eternamente sopra e sotto il mare, a volte in balia delle onde, a volte divenendo essi stessi creatori di ritmi”. Il coro, costituito da oltre 30 figure femminili, con costumi argento e bronzo, si sposta all’unisono sul palco. I motivi coreografici appaiono al servizio della drammaturgia del testo e si armonizzano con le musiche di Antonio Di Pofi, formando un tutt’uno con i gesti.
Teti, onda-barbona che all’inizio si mimetizzerà in pochi stracci, appare come uno straordinario filo rosso in tutta la vicenda e alla fine della tragedia è la vera dea ex machina, che consola il marito Peleo e che irrompe vestita di azzurro oceano con un fluttuante strascico.


L’Andromaca è un teatro della vergogna e della violenza, della prepotenza dei ricchi e dell’oscenità del potere e della guerra. I soldi, la ricchezza sfrontata, l’oro sono quasi una ossessione. Matrimoni considerati come smaccata merce di scambio per sancire alleanze, come mezzo per incamerare denaro e ricchezze. 
Ermione personifica proprio l’immagine di quella prepotenza, di una prevaricazione che tenta di imporsi al di sopra di tutto e tutti. La giovane moglie di Neottolemo si sente minacciata dalla schiava Andromaca, dalla preda di guerra del marito. Allo stesso modo, Deianira nelle Trachinie di Sofocle teme di essere messa da parte quando scopre che Iole, anch’ essa prigioniera di guerra, è oggetto della passione di Eracle. Si possono notare inoltre collegamenti con Medea, che dispone dell’astuzia e dei filtri per colpire i suoi nemici. Ma in realtà nell’Andromaca (a parte le accuse di Ermione) non vi è prova che l’infelice moglie di Ettore faccia uso di filtri magici. Ermione tenta di cucire addosso alla sua rivale il profilo della barbara pericolosa, della donna asiatica terribile e capace di tutto. Il parlare di Andromaca è un “franco parlare”, privo di furbizie retoriche e di manipolazioni (parrehesia). Andromaca è quindi l’assoluto contrario di Medea con cui l’interlocutrice vorrebbe farla coincidere. 
In questo scenario, Peleo, interpretato da un superbo Mariano Rigillo, rappresenta l’unico esempio  positivo di un universo patriarcale, memoria di un passato diverso, legato alla terra, di un mondo non disposto a riconoscersi in quello che la polis è diventata. Peleo è un forte e, allo stesso tempo, dolce nonno che protegge la vita di Molosso e della madre.
Le tirate polemiche di Andromaca e di Peleo sono voci di una denuncia che risponde all’evidenza inconfutabile dei fatti. Menelao, all’inizio della tragedia, promette di salvare il figlio di Andromaca a patto che costei si allontani dall’altare di Teti. E subito dopo denuncia l’inganno dichiarando l’intenzione di assassinare l’uno e l’altra. “ Razza di truffatori -grida Andromaca- maestri degli inganni, delinquenti, sempre pronti a tramare a spese degli altri! Ingiustizie e soprusi: è così che avete successo in Grecia! Siete capaci di tutto! Una banda di criminali, assetati di soldi! Dite una cosa e ne pensate un’altra. I fatti lo dimostrano. Possiate crepare!” (vv.445ss.).[1]
Peleo, nonostante la decrepitezza degli anni, riesce ad attestarsi come difensore delle vittime, come argine alla prevaricazione assoluta: è lui il portatore dei valori positivi di un tempo; è lui un vecchio stanco delle ingiustizie, della guerra e dell’indecenza dei potenti, ma allo stesso tempo strenuo ed energico amico e portavoce dei deboli, ormai spogliati di diritti e di ascolto.





[1] Traduzione D. Susanetti, Andromaca

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(Tratto dal giornale Notabilis del marzo 2014)

Continuiamo il nostro viaggio per le librerie siciliane, che cercano di far fronte alla crisi economica con la cultura e l’amore per essa. A Catania la libreria Cavallotto è una vera e propria istituzione, un punto di riferimento per studenti, docenti e studiosi, che quest’anno festeggia i suoi 60 anni. Oggi i punti vendita sono in corso Sicilia e in viale Jonio, gestiti con tenacia, passione e devozione da una squadra tutta al femminile: la signora Adalgisa con le tre figlie Cetti, Anna e Luisa.


Hanno preso il testimone di Vito Cavallotto, il quale nel 1954 ha aperto la sua prima libreria a Caltanissetta, promuovendo in seguito, anche su proposta di Leonardo Sciascia, mostre di pittura e grafica. Il 1968 è stato l’anno dell’apertura della libreria a Catania in corso Sicilia, con ben quattro piani e un grande reparto Remainder’s, il primo in sud Italia; nel 1968 fonda una casa editrice e nel 1976 apre un’altra sede a Palermo. Una vita di e per la cultura, fino a quando, a soli 49 anni, un incidente stradale frenò il suo percorso. Un percorso continuato, appunto, dalla moglie e dalle tre figlie. Ne parliamo con Anna Cavallotto.


Signora Anna, lei con le sue sorelle e sua madre Adalgisa avete gestito mirabilmente l’eredità lasciata da vostro padre. Erano questi i suoi sogni da ragazzina?
Quando mio padre è venuto a mancare io avevo 17 anni. Con le mie sorelle siamo sempre cresciute con la passione per i libri trasmessa dai nostri genitori; è stato, quindi, naturale e spontaneo continuare il lavoro iniziato da papà. Luisa ha ottenuto anche il diploma dell’accademia nazionale di danza, ma poi ha deciso di seguire le nostre orme. La vita è stata la nostra maestra e la nostra insegnante in questo lavoro, imparando a impostare man mano in maniera più metodologica e precisa. In seguito abbiamo frequentato il master per librai a Venezia.

Che ricordo ha di suo padre?
Papà era sicuramente molto impegnato tra viaggi per lavoro e le sedi di Catania, Caltanissetta e Palermo, ma è sempre stato presente. Un tipo aperto, che non è mancato mai nelle tappe importanti di noi figlie. Il classico padre siciliano geloso. Per ricordarlo, abbiamo istituito il premio Vito Cavallotto, giunto nel 2011 alla seconda edizione, riservato a una tesi di laurea delle Facoltà di Economia, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature Straniere, Scienze Politiche e Scienze della Formazione dell’Ateneo catanese riguardante la funzione del libro e/o dell’editoria nello sviluppo civile, economico e culturale dell’attuale società.


Tante sono le personalità come Giuseppe Bonaviri, Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo, Dacia Maraini e Silvano Nigro che nel tempo hanno frequentato la Vostra libreria. Un suo ricordo particolare
Mi viene in mente, ad esempio, Renato Guttuso che, dopo una  mostra negli anni 70, alla fine si tolse la cravatta e ce la regalò, facendo  dietro un disegno di un cavallo. Penso a Valentino Bompiani e alla sua frase “i libri sono cari per chi li ama”. Ricordo quando andavamo a cena con Giulio Einaudi o all’amicizia stretta che abbiamo con Dacia Maraini, diventata una presenza affettuosa, una cara amica.



Quali sono i progetti a breve scadenza?
Innanzitutto di resistere alla crisi, che si fa sentire anche nelle grandi librerie come la nostra. Abbiamo diversi eventi e incontri con gli autori, come Antonio Scurati, Silvana La Spina e Marinella Fiume; in programma anche un interessante incontro con Andrea Branciforti, per un progetto di design con la Fondazione dell’Ordine degli Architetti e Tito D’Emilio. Per ulteriori informazioni e curiosità sugli appuntamenti nelle nostre librerie, cliccare su eventi nel sito www.cavallotto.it

A suo parere, il testo scritto rimarrà sempre un punto di riferimento?

Sta cambiando tutto oggi: negli Stati Uniti è già diminuito il testo scritto. I libri tecnici e scientifici tenderanno a sostituirsi con l’online. Il libro in forma cartacea, però, ha suoi indiscussi e indiscutibili aspetti positivi, come la migliore assimilazione. È un modo più incisivo. Non bisogna sottovalutare, inoltre, il fatto che la funzione del libraio e dell’editore è di selezione, revisione, di editing. Su internet, invece, c’è una completa dispersione. C’è di tutto. 


Volo di notte di Antoine de Saint-Exupery

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Può accadere a volte che quando si ha un successo mondiale con un libro (o anche con un film), si può rimanere inesorabilmente intrappolati in quell'opera (o personaggio). Quando si pronuncia il nome di Antoine de Saint-Exupery, a chi non viene immediatamente in mente “Il piccolo principe”?


Il rischio, però, è di lasciare nell'ombra le altre opere, altrettanto profonde e significative. “Volo di notte” è un romanzo molto intimo e riflessivo dello scrittore-aviatore Saint-Exupery, scritto nel 1931, con cui vinse anche l’ambito premio letterario Foemina. Vi lavorò per tre lunghi anni, scrivendo, riscrivendo, tenendo svegli gli amici per interminabili riletture notturne. Un’opera che sembra autobiografica e fa venire i brividi, se si pensa al modo misterioso in cui morì l’autore, pilota temerario e spericolato fino all'ultimo suo respiro.

“Nubi pesanti spegnevano le stelle”, ma nonostante ciò il pilota Fabien decide ugualmente di proseguire il suo viaggio. D'altronde, si sa, ogni pilota è consapevole di rischiare la vita. L’uragano spinge fuori rotta l’aereo, interrompendo i contatti radio. Panico totale. Panico anche di Jacques Riviere, responsabile dell’intera rete aerea, che segue impotente lo sviluppo della tragedia. Uomo duro, gelido, severo, ma mosso da un profondo senso del dovere e dall'idea del lavoro come missione, Riviere. Una persona anche sensibile, che ha delicatezza nell'affrontare la giovane bella moglie di Fabien, unita a lui nel sacro vincolo del matrimonio da sole sei settimane.
Il libro emoziona tramite le numerose riflessioni e il dramma della moglie di Fabien, la quale  passa dalle telefonate all'arrivare in ufficio vivendo, attraverso i silenzi e gli sguardi furtivi degli impiegati, la certezza che il suo giovane marito ha perso le speranze. Il lettore si sente partecipe di quel dramma che sta avvenendo sotto i suoi occhi. La tensione aumenta pagina dopo pagina, in un lento e cruento climax.
“In nome di cosa?”, la domanda inevitabile che si farà Riviere. “Quegli uomini che stanno per sparire avrebbero potuto vivere felici… In nome di cosa li ho strappati a quel santuario? In nome di cosa li ho strappati alla felicità individuale? La prima legge non è forse quella di difendere quelle felicità?”. Domande strazianti, che chissà quante persone, colpite dalla guerra, da calamità naturali o da sventure varie ancora oggi si fanno… Quasi da filosofo la risposta: “Vittoria… Disfatta… Queste parole non hanno senso. Sotto queste immagini, c’è la vita; la vita che prepara già altre immagini. Una vittoria indebolisce un popolo, una disfatta ne rianima un altro. La disfatta subita da Riviere è forse un insegnamento  che avvicina la vera vittoria. Solo l’avvenimento in cammino ha qualche importanza”.

Sfido chiunque a voler dire adesso che  questo passo ha meno profondità del celebre passo “L’essenziale è invisibile agli occhi” tratto da “Il piccolo principe”. Perché doverle paragonare per forza? Sono entrambe lezioni preziose, che fanno riflettere e spingono interrogarsi sul percorso di ciascuno, cercando un significato di vita. Già… Vivere e non semplicemente (e passivamente) sopravvivere.

Il curioso caso di Ali Hussain

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“Capita a tutti di sentirsi diversi in un modo o nell'altro, ma andiamo tutti nello stesso posto, solo che per arrivarci prendiamo strade diverse...”. 
Un’affermazione semplice e saggia questa, che viene fatta pronunciare a Brad Pitt nel film del 2008 “Il curioso caso di Benjamin Button”, diretto da David Fincher e tratto da un  breve racconto del 1922 di Francis Scott Fitzgerald. Il film è stato candidato a tredici premi Oscar ,vincendo quelli per migliore scenografia, miglior trucco e migliori effetti speciali. Si tratta della storia di un uomo che nasce vecchissimo e muore neonato. Fitzgerald si rifece alla riflessione di Mark Twain: «La vita sarebbe assai più felice se nascessimo all’età di 80 anni ed evolvessimo gradualmente fino ai 18». 

Quando ho letto la notizia di Ali Hussain mi è venuto spontaneo pensare al film sopra citato (che, personalmente, ho apprezzato molto). Si tratta della stessa situazione, ma nel caso inverso: Ali è un quattordicenne  imprigionato nel corpo di un uomo di 110 anni. È uno degli ottanta casi in tutto il mondo di Progeria, una malattia molto rara che fa invecchiare il corpo otto volte più velocemente del normale, causando nel bambino le tipiche malattie degli anziani (dall'artrite ai problemi agli occhi, passando per le malattie cardiache e la calvizie). Eppure questa tremenda malattia non altera la mente, che resta l'unico vero indicatore dell' età del soggetto.

“Ho voglia di vivere e spero tanto che là fuori ci sia una cura che possa migliorare la mia condizione”, afferma il giovane, spaventato anche dal fatto che cinque suoi fratelli sono già deceduti per questa “curiosa” malattia, che sembra essere in continua lotta contro il tempo.


















Mi piacerebbe essere una persona normale, che può giocare, fare sport, andare a scuola e perché no correre qualche rischio. Purtroppo non posso e mi sento depresso, ma il più delle volte faccio quello che la vita mi può offrire senza lamentarmi. Ero molto giovane quando i miei fratelli sono morti, ne sono uscito distrutto specialmente quando ci ha lasciato mio fratello Ikramul, era il mio migliore amico. Ho pianto per settimane, ma poi mi sono reso conto che gli avrei fatto un grande torto se non avessi reagito. Adesso non ho amici, ma devo comunque essere forte".
Domanda: secondo Voi la società di oggi, la società dell’apparenza, dell’avere, del sembrare, è pronta a dare il benvenuto ad Ali? No… La sua vita, come ci si può immaginare, è fatta di solitudine ed emarginazione, lontano da quel mondo che derideva  lui e i suoi fratelli perché “diversi”.

La diversità, però, può anche essere un vantaggio, nel tempo. Ciascuno ha un proprio percorso, che può essere più o meno dritto, più o meno  impervio; un cammino che ha come fine ultimo la serenità, la felicità, lo stare bene con se stessi. Diventare “guerrirero della luce”, come lo chiama Paulo Coelho. Non ci sono regole per arrivare a questo fine ultimo. L’importante è rimanere sempre giovani. Giovani dentro. 

"Le anime del nespolo": quando le anime dei Malavoglia vogliono dire la loro...

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"Su quel treno andavo alla ricerca di me stessa. Dal finestrino cercavo un qualcosa che mi potesse salvare, un fiore, una pianta, una radice, un oggetto, uno sguardo, un orizzonte. Man mano che il vagone si allontanava dalla grande citta’ in cui vivo, sentivo il mio cuore battere più forte d’attesa spasmodica di salvezza. Poi una voce squarcio’ il silenzio dei miei pensieri – TREZZA – quel mare scintillante di armonia, di complicità’ tra cielo e terra, tra uomini e scogli, e pesci, e sorrisi. Mi sono sentita chiamare, il mio spirito fremente mi sussurrava – vieni, è qui che riposi, vieni".
Già l'incipit de "Le anime del nespolo", scritto da Antonietta Sturiale e  organizzato dall’associazione antistalking e antiviolenza “Dignità donna”, con le splendide musiche di Alessandro Cavalieri(quest'ultimo nella foto qui sotto), fa capire la bellezza e la complessità di quest'opera.


Un visitatore del museo casa del nespolo respira e rievoca momenti di quotidianità della famiglia Toscano, “I Malavoglia”; una famiglia decisamente patriarcale, in cui ognuno ha il suo ruolo preciso. Appaiono così, man mano, come anime in cammino, i personaggi: da Bastianazzo a Padron ‘Ntoni, da Maruzza la Longa al nipote ‘Ntoni, da Luca a Mena, da Alessi a Lia. Ciascuno con il proprio modo di fare, di interagire, di agire, di rapportarsi, di aprirsi a chi ha davanti.

Stupenda e toccante la parte della dolce e tenera Lia, interpretata da Agata Ranieri: "Non mi toccate, non mi palpate, per favore Signore, cosa volete da me? Vi prego, allontanatevi dal mio corpo, no, non mi baciate il collo. Noooo (piange) Devo pulirmi, devo ripulire questo lordume che mi macchia d’onta mortale. Papà, io non volevo! Mamma, perdonami! Fratelli miei, vi prego, non mi giudicate. Sono la vostra Lia, la piccola ragazzina curiosa di vita. Ed ho pagato per questo, ed ho pagato caro. Come ostrica immatura, mi sono voluta staccare dal mio scoglio, la mia Trezza amatissima, per andare nella città grande e tanto disonesta. Vi ho macchiato d’onta e di fango, vi ho disonorato, ho disonorato la mia famiglia per farmi toccare, violare, per vendere il mio corpo e dannare la mia anima ad uomini senza scrupoli. Sono imperdonabile! Devo lavarmi, lasciatemi lavare, lasciatemi togliere questo puzzo di peccato dalle mie carni. Lasciatemi riposare. Lasciatemi morire per sempre nella mia miseria". Una ragazza pura, anzi... un'anima pura!













































































Credo che non ci siano parole adatte a volte per trasmettere le emozioni... Bisogna viverle, saltando con coraggio su quel treno in compagnia della visitatrice (una magnifica Berta Ceglie, sempre sulla scena), tornando alla vecchia casa del Nespolo con la sua semplicità e verità, avendo rispetto e cura per essa e per chi ci vive. 
Insomma... Spettacolo assolutamente da vedere nella versione integrale! Molto curiosa... 

PERSONAGGI: INTERPRETI:

La visitatrice - BERTA CEGLIE
Bastianazzo - DAVIDE GULLOTTA
Padron ‘Ntoni - DAVIDE GULLOTTA
Maruzza La Longa - MARISA GIANNINO
‘Ntoni - EMILIANO BELLIA
Mena - AGATA RAINERI
Luca - GIUSEPPE CARBONARO
Lia - AGATA RAINERI
Alessi - SALVO MIRABILE
Voce: - AGATA RAINERI

Sazia di Luce di Adriana Pedicini

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Ci sono dei libri che ti capitano tra le mani in periodi che possono essere più o meno adatti nel percorso personale della propria vita.
Così è stato per la sottoscritta con "Sazia di luce" di Adriana Pedicini (edizioni Il Foglio): un libro denso, complesso, che come scrive nella prefazione Giuseppe Possa "Con questa feconda e sofferta raccolta lirica, Adriana Pedicini è giunta nei più remoti fondali della propria anima, per esorcizzare la disperazione che sorge nei momenti di triste sconforto, quando l'esistenza pare minata da un destino crudele... La poetessa però non si abbandona a un discorso consolatorio; si affida invece a una superiore speranza che la volontà o la fede spesso possono realizzare". Mi ero fermata ad un certo punto, anche perché troppo presa da mille impegni e in un momento di forte stress. Volevo leggerlo con calma e con più obiettività. Pian piano. Per godermelo al meglio. E capire da una parola, da un piccolo segno un mondo che si nasconde dietro l'autrice. 

"Sazia di luce"è un gioco di luci e ombre (anzi... di ombre e luci), inizialmente con silenzi inquieti e quasi inquietanti, con le paure tipiche  degli uomini come la malattia e la morte, con quelle domande senza luogo e senza tempo (Chi siamo? Dove andiamo? Perché siamo qui? Cosa posso fare io?). 
Poi, d'un tratto, senza nemmeno accorgersene, compare la luce; una luce abbagliante da cui rimaniamo travolti: 

"Oggi/ ti sento/ Signore/ a me vicino/Sei l'aria/ che respiro/ l'orizzonte/ che mi attrae/ questo cielo/ che mi abbraccia". E Allora si aprirà un nuovo capitolo, un nuovo percorso esistenziale:"E sarà suono di violini/ nell'anima,/ fiori di pesco/ sui rami/ volo di rondini/ in cielo./ Semplicemente/ sarà/ nuova vita".

I suoi non sono consigli da mestrina, ma inviti a personalizzare e trovare una propria via d'uscita ai momenti di difficoltà e debolezza. 
Quelle della Pedicini, professoressa di lettere classiche nei licei, sono poesie varie, che fanno riflettere, che lasciano impronte. Come si può rimanere indifferenti davanti a "Homo homini lupus"?

"Non odo più la storia dei padri
a narrar di ferocia di guerra
di morte sul desco del giorno
di brancolanti vite nel buio
per un brandello di libertà. 

Oggi è paura
il nodo che stringe la gola
svelle le radici dei sogni
tinge di nero la prossima alba.

Oggi è la storia 
cruenta di sempre
di corpi già morti 
avanzare in neri scenari
tra scintillii fatui di biechi teatri
tra baratti di monete tradite".

E come può non essere attuale una  poesia come "Mare monstrum", vincitrice del primo premio internazionale di poesia Otto milioni 2013, assegnato dal Comune di Terranova (Me)? Impossibile rimanere indifferenti!!! (Faccio la dispettosa... Non ve la ripropongo qui sotto così acquistate il libro!!!)


Mentre leggevo "Sazia di Luce", pensavo a S. Agostino, Padre, Dottore e Santo della Chiesa Cattolica, ma prima di tutto uomo, con i suoi dubbi e incertezze. Quelle di tutti. Pensavo al suo tormentato e tortuoso percorso di fede, alle domande continue a cui non sapeva darsi spiegazione, fino all'incontro con il vescovo di Milano Ambrogio, grazie alla dolcezza e alla cura della madre Monica, sempre figura discreta, silenziosa ma allo stesso tempo presente del figlio Agostino. Un passo che amo molto è tratto dalle "Confessioni"(X, 27.38)





«Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle sembianze delle tue creature. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai ed ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace. »


Sazia di Luce è un libro assolutamente da non perdere. Un invito a riflettere e alla riflessione; uno sprone a migliorarci e migliorare la nostra vita. Partendo dalle piccole cose, che, in fin dei conti, sono proprio quelle che fanno la differenza. 

Per info e contatti: adripedi@virgilio.it




Metti una sera con Gibran...

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(Da "I vostri figli")

" I vostri figli non sono i vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa
essi vengono attraverso di voi, ma non da voi.
E benché vivano con voi, ciò non di meno, non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri.
Perché essi hanno i loro pensieri.
Potete custodire i loro corpi, ma non i loro anime.
Perché le loro anime abitano nella casa del futuro, che
neppure in sogno potete visitare.
Potete cercare di essere simili a loro,
ma non potete farli simili a voi.
Perché la vita procede e non si attarda mai sopra il passato.
Voi siete gli archi da cui i figli come frecce sono scoccati avanti.
L'arciere vede il bersaglio sulla linea dell'infinito, e con
la forza vi tende perché le frecce vadano rapide e lontane.
E che il vostro tendervi nella mano dell'Arciere avvenga nella gioia: perché come ama le frecce che volano, 
così ama l'arco che sta fermo".




"Sul matrimonio" (da "Il profeta")

Allora Almitra di nuovo parlo e disse: Che cos'è il Matrimonio, maestro?
E lui rispose dicendo:
Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di Dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.
Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e siate allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini:
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.

Nuove abitudini degli Italiani nel nuovo secolo: facebook, twitter e blog. Ci piace questo elemento?

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(Tratto dal giornale Chair luglio 2013)

Driiin! Suona la sveglia, mi stiracchio un po' come un gatto nel letto per un altro minuto. Mi alzo. Caffè, caffè, caffè, caaaaffè a volontà, rds che mi fa compagnia e mi fa sorridere e canticchiare e poi... il mio adorato Massimo Gramellini da leggere nello smartphone nella sua pagina facebook per vedere quale altra meraviglia ha creato (le sue sono creazioni, non semplicemente scritture!!!) quel geniaccio del vicedirettore de “La Stampa. Evvivaaaaaaaa!!!


Tranquilli, cari lettori di Chair, questo non è un noioso articolo sulle mie abitudini mattiniere, ma una riflessione su come oggi i social network cambiano le nostre abitudini. 

Sì, perché ormai abbiamo una terza mano: quella dello smartphone, del tablet o del computer. Ovviamente questa nostra nuova opzione (a cui il corpo si è dovuto adeguare), serve per condividere con gli amici pensieri su twitter e fb, o per scattare foto (più o meno strane, più o meno artistiche) da pubblicare su instagram. Mi piace questo elemento!

Le nostre care vecchie abitudini stanno cambiando. Ormai ci si lamenta del caldo, del brutto temporale o delle vacanze fenomenali che abbiamo trascorso condividendole non più con quattro amici (al bar, come cantava Gino Paoli), ma con un mucchio di persone. Alcune delle quali non ricordiamo neppure l’ultima volta che le abbiamo viste di presenza… Sempre se le abbiamo viste almeno una volta di presenza! Per cercare l’anima gemella ci rivolgiamo agli amici degli amici su Facebook, facendo prima un’analisi dettagliata dei loro profili, vedendo che musica piace, se è appassionato di letteratura, di film, di sport, se sa scrivere in italiano e sa distinguere una “a” da un “ha”.
Domanda da 1.000 dollari: davvero si può capire attraverso la tecnologia com’è l’altra persona? Com’ è possibile? Sono importanti anche il tono di voce, il modo di porsi, lo sguardo, i movimenti, il profumo. No? La conferenza "State of the Net" ha ospitato la presentazione della nuova ricerca di Vincenzo Cosenza. Emerge che gli italiani usano di più e meglio i social network, ma c'è ancora molta strada da fare.

Sembra, da 71 milioni di tweet,  che gli italiani sono di cattivo umore da mesi. Questo è uno degli aspetti sottolineati dall'analisi di Vincenzo Cosenza,Social Media Strategist presso BlogMeter, in occasione della conferenza of The Net, in cui si è raccontato come si usa la Rete nel nostro Paese.
Per quanto riguarda Facebook, appare curioso il fatto che chi segue una pagina con un "mi piace", spesso poi la trascura: le pagine con più fan, infatti, non corrispondono sempre con quelle che contano il maggior numero d'interazioni (mi piace, commenti, condivisioni). Su Twitter gli argomenti più quotati sono stati Sanremo 2013, Elezioni 2013, Berlusconi e Serviziopubblico. Il social network da 140 caratteri ci fa scoprire un aspetto interessante: generalmente in Italia prevale il cattivo umore. Solo due momenti hanno interrotto una processione di musoni: Capodanno e San Valentino. La voglia di festeggiare e l'amore, a quanto pare, ci danno ancora qualche momento di allegria. Politica, televisione e sport. Ecco di cosa parlano gli italiani online. Più o meno come accade durante i pranzi domenicali con le famiglie riunite davanti a un piatto di lasagne (con parmigiana al sud o cotoletta al nord del Bel paese). C'è un nome che si stacca da tutti gli altri ed è quello di Beppe Grillo: ben 14,3 milioni di interazioni su Facebook, più del doppio rispetto al secondo classificato (La Repubblica). D’altronde il successo del comico genovese come politico è partito proprio grazie al suo blog, tra i più noti in lingua italiana e tra i 10 più visitati al mondo. La tecnologia può aiutare. Ha tanti vantaggi, così come anche tante insidie. Sta a noi sapere trovare il giusto equilibrio. D’Altronde “in media stat virtus”.


Grande successo per la prima edizione di "Versi verso versi"

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“Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto”. 
La riflessione di Gustave Flaubert descrive al meglio il climax della prima edizione di “versi verso versi”, declinazioni poetiche a cura di Grazia Calanna e Luigi Carotenuto, evento culturale proposto da EstroLab, editrice del periodico culturale l’EstroVerso (www.lestroverso.it), accolto con successo nell'ambito della kermesse “Etna in Scena 2014”.


Per l’occasione hanno animato la scena, ognuno col proprio peculiare fraseggio, ventitré stimati poeti, da Palermo a Catania, provenienti da tutta la Sicilia: Sebastiano Adernò, Saragei Antonini, Francesco Balsamo, Angela Bonanno, Giampaolo De Pietro, Vincenzo Galvagno, Raffaele Gueli, Antonio Lanza, Santina Lazzara, Michele Leonardi, Daita Martinez, Sebastiano A. Patanè-Ferro, Margherita Rimi, Pietro Russo, Angelo Santangelo,  Davide Spampinato, Francesca Taibbi, Luigi Taibbi,  Gisella Torrisi, Anna Vasta, accompagnati dalla deliziosa arpa di Laura Vinciguerra (anch’essa autrice di amabili testi per bambini). 


Nella prima parte della serata, brillantemente condotta da Elisa Toscano i poeti ospiti, provenienti da tutta la Sicilia (con la sola eccezione dell’autrice sarda Savina Dolores Massa, presente con i suoi unici e splendidi versi inediti), hanno letto una ricca selezione di poesie. Nella seconda parte gli stessi autori, avendo aderito al progetto “L’infanzia in tre versi”, hanno letto i propri testi inediti, scritti per l’occasione e illustrati da venti fotografie di Rosario Leotta (Premio Arte Mondadori 2011). Curiosità: il book trailer del libro “L’infanzia in tre versi”, testo collettivo inedito scritto dai poeti che hanno partecipato a "Versi verso versi", con le immagini di Rosario Leotta, la voce di Michele Leonardi e la stupenda musica (arpa) di Laura Vinciguerra (edizioni EstroLab),parteciperà il prossimo 17 settembre nell'ambito di Naxos Legge, all'interno del "Festival delle narrazioni, della lettura e del libro", a cura di Fulvia Toscano e dell’associazione culturale le Officine di Hermes”.


“Ringraziamo – sottolineano Grazia Calanna e Luigi Carotenuto -, gli amici intervenuti da tutta la Sicilia, che hanno omaggiato e animato la prima edizione di “versi verso versi”, lo scorso 28 agosto, a Zafferana Etnea, ringraziamo i numerosi astanti e, peculiarmente, quanti hanno partecipato con sensibilità, finezza critica e intelligenza donando quanto di meglio potessimo aspettarci per la poesia: l’ascolto. Ringraziamo l’amministrazione comunale, e in particolare l’assessore Giovanni Di Prima, per averci ospitato all'interno della kermesse Etna in Scena 2014, e l’assessore Angela Di Bella per aver presenziato alla serata e la dott.ssa Elisa Toscano per la deliziosa e professionale conduzione con l’augurio corale di poterla avere con noi anche in futuro.  


Soddisfazione espressa anche dai parte dei protagonisti della serata.

“Zafferana 28 Agosto 2014. Una sera di poesia, musica e immagini nel Parco comunale. Il luoghi del Premio Brancati-Zafferana nei suoi mitici anni, quando si poteva vedere passeggiare e discutere animatamente per Zafferana, Sciascia, Moravia, Elsa Morante, Pasolini, Dacia Maraini.  Anni d'oro della nostra cultura e intellighenzia. Molto coraggiosi i nostri amici, Grazia Calanna e Luigi Carotenuto, per aver ideato e organizzato una passerella di poeti in una sede così suggestiva e carica di memorie. Momenti come questi, di larga partecipazione di pubblico e di corale coinvolgimento, stanno a dimostrare che la poesia riesce ancora a parlare al cuore e alle menti degli uomini” (Anna Vasta)





“Altissima qualità di testi e declamazione degli stessi. Ottima location che ha permesso un'educatissima cornice d'ascolto. Mi rammarico del contrario, ovvero del numero troppo esile di appuntamenti come questi. E il rammarico poggia sulla bravura dei poeti che ho ascoltato. Credo che da tanta Risorsa potrebbero nascere forzute sinergie” (Sebastiano Adernò)


“Si è assentata soprattutto l’autoreferenzialità, cosa che spesso avvelena questi appuntamenti. Chi c’era è stato attento, partecipe, complice. Dobbiamo rompere la membrana romantica del passero solitario e contaminare sempre di più i pozzi, citando Fortini. Io credo nell'inconfutabile musicalità del verso - sia esso un Verdi, uno Stravinskij, un Pärt. Una poesia la si dovrebbe poter fischiettare”(Michele Leonardi)


 “Nelle parole poetiche, nelle immagini fotografiche, nella musica dell’arpa un unico pensiero, un unico sentimento, una sola anima. L’infanzia in tre versi è stata la sfida del futuro, l’attenzione dell’arte verso bambini, a chi farà il mondo dopo di noi” (Margherita Rimi)


 “La poesia è un dono ed è un dono poterla condividere. Grazie per la suggestiva ed elegante serata” (Santina Lazzara)



 “Armonia di luogo vestito parola come scialle che dal senso ascende. Grazie” (Daìta Martinez)

Nell'incantevole parco di Zafferana, al suono leggiadro di un’arpa degna sorella della poesia, abbiamo trascorso momenti di soffusa leggerezza e grazia. Suggestivo il connubio tra immagini e versi: il fascino dell’infanzia è affiorato prepotentemente in tutta la sua forza e dolcezza. E questo, in giorni prosastici e logorroici, può definirsi poesia: riscoprire l’incanto del donare e del donarsi in parole e silenzi” (Angelo Santangelo)



 “La serata è stata per me l’occasione di ascoltare dal vivo amici poeti il cui lavoro seguo su riviste on line e sul cartaceo. Straordinaria occasione di dialogo, ‘versi verso versi’. Dialogo che in poesia avviene anche in silenzio. O, forse, meglio se in silenzio. Lontano dall'essere una sequenza di sporadici sprazzi di ‘ispirazione’, la poesia per me è il frutto del lavoro quotidiano. La poesia deve raccontare all'uomo di oggi, che non ha il tempo di darsi un’occhiata, che cos'è, appunto, l’uomo, o cos'è diventato” (Antonio Lanza)

 “La serata è stata una grazia della poesia. Con l’ascolto che nella vita vale la pena essere almeno due. E la poesia è almeno due. È un grande atto d’amore tra almeno due. Anche qualora il secondo interlocutore dovesse essere la solitudine. La poesia ci insegna che bisogna attendere. Che c’è sempre un’altra possibilità” (Raffaele Gueli)


La serata è stata scandita dagli applausi di un pubblico folto, attento e sensibile. “Volevo ringraziare Grazia Calanna e Luigi Carotenuto per la bellissima serata all'insegna dell'anima vera. Il vostro è un ammirevole tentativo (riuscito) di sostenere la vera cultura contro il tronismo imperante e la seconda provincializzazione che stiamo vivendo. Bravi. Siete un esempio”, ha commentato entusiasta il prof. Alessio Annino, Assegnista di Ricerca in Pedagogia Generale e Sociale dell’Università degli Studi di Catania, presente alla serata, con il quale si auspicano future collaborazioni culturali.



Il romanzo inchiesta "Giallo d'Avola". Intervista a Paolo Di Stefano

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(Tratto dal giornale Chair, 13 giugno 2013)
"Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico” (“I Malavoglia”, Giovanni Verga)

Non mi sono stupita quando Paolo Di Stefano, in una breve chiacchierata dopo la presentazione siracusana del suo libro “Giallo d’Avola” (Sellerio editore), mi ha confessato che Giovanni Verga è tra i suoi autori prediletti. 

Si percepisce subito l’amore per la Sicilia, con l’accurata descrizione dei luoghi (in questo caso, non di Aci Trezza come in Verga, ma delle colline impervie e pietrose dietro Avola),con i suoi odori, colori, sapori, lo scirocco e gli effluvi di piante, come la nipitella, che travolgono il lettore. 
Di Stefano non tralascia l’ amato dialetto, quello “doc”, che si sposa perfettamente con l’italiano parlato, creando una dolce musica. Uno studio filologico e minuzioso della lingua, evitando il più possibile il format Camilleri,” perché ormai in letteratura quando si dice Sicilia,e per di più in giallo, si dice Camilleri, che è diventato un modello e insieme un tranello da evitare. Non volevo “camilleggiare, dunque dovevo far sì che il narratore si confondesse e insieme si distinguesse dai tanti personaggi che parlano”.


Un romanzo, sì. Ma non solo. Un’inchiesta giornalistica iniziata nel 2002, una dettagliata ricostruzione storica , che si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto negli anni ‘50. Un’opera che rispecchia Paolo Di Stefano, originario proprio di Avola, con la sua doppia anima da giornalista e da scrittore. 
Questa la storia: nelle campagne di Avola, in provincia di Siracusa, la mattina del 6 ottobre 1954 un pastore, Paolo Gallo, scompare. Viene trovato solo il suo cappello e intorno alcune macchie di sangue. Ma il cadavere non c’è. Non si trova.  Le indagini dei carabinieri sono a dir poco precipitose: viene accusato presto il fratello Salvatore con il figlio Sebastiano, entrambi analfabeti. Pena: ergastolo per il primo per fratricidio e 14 anni per il secondo, per occultamento di cadavere.


Effettivamente, i rapporti tra i due fratelli risultavano tesi da tempo e diverse erano state le liti furibonde, sedate a fatica dai vicini. “Convivenza difficile, litigiosa, zuffa perenne, minacce pesanti, ritorsioni dispettose e crudeli, galline spennate e tirate di collo, parole grosse che volavano, qualche volta accompagnate da scariche di legnate, e a subire era quasi sempre il fratello più vecchio e più fragile, Paolo, la buonanima”. Determinanti e fuorvianti furono le continue grida, quasi da tragedia greca, di Cristina Giannone, moglie di Paolo, detta “la velenosa”:” L’ammazzaru, l’ammazzaru, u dìssiru e u fìciru”.
 A nulla valsero le professioni di innocenza di Salvatore e Sebastiano Gallo, a nulla le lotte dei brillanti avvocati difensori Pierluigi Romano e Piero Fillioley (alla presentazione del libro era presente, tra l’altro, Piero Romano, a destra nella foto, che ha ricordato con partecipazione ed emozione il processo seguito dal padre). 

Addirittura a nulla servirono le dichiarazioni di due contadini, sicuri di aver visto vivo Paolo Gallo, che furono arrestati e poi liberati, dopo aver ritrattato. Saranno degli errori, delle “sviste” di Paolo Gallo, il quale si era nascosto a pochi chilometri da casa, in un paesino del Ragusano, a fare cadere questo castello di sabbia. Fu la firma di una cambiale e una sua deposizione in occasione di un incidente a svelare il mistero. 

Si arrivò alla verità anche grazie a Enzo Asciolla, giornalista del quotidiano “La Sicilia”. Per ben sette anni Salvo Gallo dovette scontare la pena per un crimine mai compiuto. Sette anni in cella per frettolosi pregiudizi e una giustizia che non è stata obiettiva; sette anni senza aver commesso alcuna colpa. Intorno alla vicenda, omertà, apparenza, maldicenza degli abitanti del posto, un dramma familiare e umano, che scuote le coscienze. Un rapporto di odio e di incomunicabilità tra i due fratelli, i due pseudo Caino e Abele siciliani, così diversi caratterialmente: Salvatore personaggio forte e solo apparentemente taciturno; Paolo un debole, un timoroso. Questa storia è circolata per decenni sulla bocca di tutti gli avolesi, fino a diventare una specie di epopea orale, un “caso di epica popolare”, ricorda lo scrittore, sentendone parlare tante volte a casa, tra gli amici. Diventa quasi un’ossessione. “Quel mondo era il mondo dei miei nonni; a un certo punto nella storia compare anche il padre di mia madre”.
“Giallo d’Avola” racconta, come è scritto nella quarta di copertina, quell'analfabetismo dell’anima, o della psiche, che vieta ogni coscienza di sé: vero lascito antropologico di secoli di depressa arretratezza, che ancora oggi può spiegare il tanto di barbarico, feroce e precivile, nei casi di cronaca nera familiare italiana”. “Una specie di Fu Mattia Pascal dei poveracci, in pratica un romanzo già scritto: un intreccio pazzesco che solo in Sicilia poteva esistere in natura”, afferma Di Stefano. Una Sicilia che rimane, e forse rimarrà sempre, prettamente pirandelliana, dove nulla è come sembra, dove tutto si rovescia nel suo contrario. Così è, se vi pare.

Buongiorno in amicizia e positività

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"Buongiorno alle persone che affrontano ogni giorno come un prezioso regalo e fanno di tutto per viverlo con entusiasmo e passione, facendo in modo che ci sia qualche emozione da ricordare. A chi sa guardare oltre le apparenze ed ha sempre tempo per ascoltare gli altri e per cercare di capirli. Buongiorno alle persone consapevoli che non possono conoscere il proprio futuro, ma possono fare molto di più, possono sognarlo e realizzarlo. Ed ogni giorno è buono per cominciare a farlo. A chi è consapevole che un sorriso o un semplice saluto possono cambiare la giornata a se stessi e agli altri. Buongiorno a tutti, ma proprio a tutti, nessuno escluso. Con un sorriso e tanta buona volontà'".

(Cit. Antonella Sturiale)




Cesare Bocci: un Lancillotto in difesa della cultura

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(Tratto dal giornale Chair del 4 febbraio 2014) 

È uno degli attori italiani più amati, con uno sguardo magnetico e fascino da vendere che colpisce. Di presenza più che in televisione. Ho incontrato Cesare Bocci a Cosenza in occasione della seconda edizione del festival del giallo tenutosi il 18-19-20 ottobre, che ha visto la partecipazione di firme di livello internazionale e importanti personaggi del noir italiano, letterario e televisivo (ehm... in questo festival è stato presentato un certo libro intitolato "Animali noir", in cui c'era un certo racconto, "Vita da gatto randagio"... di una certa Alessandra Leone... Voi la conoscete per caso? Si dice che sia simpatica, chiacchierona e ha un blog carino... dicono...ok chiusa parentesi, nel vero senso della parola!!!)

Cesare Bocci si è mostrato  ironico, semplice e profondo nel raccontare la sua scalata al successo, dal teatro a diverse fiction di successo, tra cui “Elisa di Rivombrosa” in cui vestiva i panni del medico Antonio Cappi, “Volare- La grande storia di Domenico Modugno, nel ruolo del malinconico principe Raimondo Lanza di Trabia, senza ovviamente dimenticare il vice commissario Mimì Augello ne “Il commissario Montalbano”.


Di origine marchigiana, a 23 anni si è trasferito a Roma per fare l’attore, lasciandosi alle spalle una “quasi” laurea in Geologia (aveva sostenuto tutti gli esami e gli mancava solo la tesi). “Bisogna studiare tanto per fare l’attore; è come un artigiano che deve avere il tempo di creare una sedia”, afferma con convinzione. 
Lo stesso parlare in siciliano è stato inizialmente una tragedia. Per lui così come per tutti gli altri attori de “Il commissario Montalbano”, ad eccezione del ragusano Angelo Russo,il mitico agente Agatino Catarella. Impegno e sacrifici ricompensati dall'amore del pubblico e dai complimenti ricevuti, come quando Camilleri gli ha detto “ ieri hai fatto commuovere me e mia moglie per la tua interpretazione”. Si emoziona ancora a ricordare questo episodio. Ammette che per gli attori girare Montalbano è stato come stare in vacanza, con paesaggi da togliere il fiato, mangiando spaghetti alle vongole alle 9 del mattino per girare le scene e poi continuando a mangiarne ancora (beati loro... dura la vita eh???Ok io ho fame...)


Un grande successo iniziato nel 1999, che ha avuto fortuna anche all'estero (è l’unica fiction italiana ad essere stata venduta anche in Danimarca).

Il teatro, comunque, gli rimane sempre nel cuore. Si percepisce nell'aria: parla in maniera entusiasta dello spettacolo del 2013 “Viva Verdi”, spiegando con passione le trame de “Il Rigoletto”, “Il Trovatore” e “La Traviata” in occasione del bicentenario della nascita del genio di Busseto. Quest’anno, invece, Bocci sta portando  in scena il recital “Parole d’amore”, selezione di poesie e lettere d’amoredei poeti e romanzieri che hanno fatto grande la letteratura italiana dal 200 al 2000. Trasmette amore per la cultura, mettendosi al servizio di essa a 360°, come un Lancillotto in difesa del ricordare e trasmettere ai più giovani. È anche questo che colpisce di Cesare Bocci.





Giovanni Paolo II

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"Non c'è speranza senza paura, né paura senza speranza".

"L'arte è esperienza di universalità. Non può essere solo oggetto o mezzo. È parola primitiva, nel senso che viene prima e sta al fondo di ogni altra parla. È parola dell'origine, che scruta, al di là dell'immediatezza dell'esperienza, il senso primo e ultimo della vita".
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/destino/frase-25246?f=a:1371da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/arte/frase-98037?f=a:1371
"L'amore non è una cosa che si può insegnare, ma è la cosa più importante da imparare".



"La pace non può regnare tra gli uomini se prima non regna nel cuore di ciascuno di loro".

 "Davanti alla maestà dei monti, siamo spinti ad instaurare un rapporto più rispettoso con la natura. Allo stesso tempo, resi più coscienti del valore del cosmo, siamo stimolati a meditare sulla gravità delle tante profanazioni dell'ambiente perpetrate spesso con inammissibile leggerezza. L'uomo contemporaneo, quando si lascia affascinare da falsi miti, perde di vista le ricchezze e le speranze di vita racchiuse nel creato, mirabile dono della Provvidenza divina per l'intera umanità".


















da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/frasi-natura/frase-107217?f=a:1371>







da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/amore/frase-128917?f=a:1371>

Buona serata con Alda Merini e la "Siesta" di Van Gogh

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"Spazio spazio, io voglio, tanto spazio 
per dolcissima muovermi ferita: 
voglio spazio per cantare crescere 
errare e saltare il fosso 
della divina sapienza. 
Spazio datemi spazio 
ch'io lanci un urlo inumano, 
quell'urlo di silenzio negli anni 
che ho toccato con mano".

Nick Vujicic :il coraggio di non arrendersi

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(Tratto dal giornale Chair del 16 gennaio 2014)

Nato a Melbourne da una famiglia serba cristiana, classe 1982, sorriso aperto e occhi che parlano da soli, Nick Vujicic ha fatto del suo tallone d’Achille una forza. Affetto fin dalla nascita da una rara malattia genetica, la tetramelia, Nickè privo di arti, senza braccia né gambe; uno solo dei suoi piccoli piedi (li chiama ironicamente “cosce di pollo”) ha due dita.  Inizialmente, i suoi genitori rimasero scioccati. Come non esserlo? Per quale motivo il loro bambino doveva sopportare tutto ciò? Perché non poteva, come tutti i suoi coetanei, correre, giocare, abbracciare chi vuole bene e avere una vita “normale”?


Di sicuro non è stato facile né per loro né per Nick: i disagi non mancavano, ma la forza di lottare, di non arrendersi, di avere fiducia e di credere nel domani è stata più forte dell’amarezza e della frustrazione. All’età di sei anni suo padre gli insegna a scrivere con il piede e la madre inventa un dispositivo in plastica che gli permette di tenere una penna o una matita con l’alluce. Preso di mira dai bulli della scuola, Nick attraversò  momenti di forte depressione; fu un articolo di giornale riguardante un uomo che affrontava ogni giorno grandi difficoltà dovute ai suoi handicap che gli fece capire che non era il solo a vivere la disabilità. Addirittura la sua esperienza poteva servire ed essere sostegno per molti. Doveva vedere ciò che aveva e non desiderare ciò che gli mancava. Insomma… Vedere il bicchiere mezzo pieno!

Il suo atteggiamento positivo, la sua gioia di vivere, la caparbietà e la fede in Dio sono state le sue armi vincenti, che lo hanno portato a diventare un uomo forte, sicuro di sé, uno speaker motivazionale, direttore di “Life Without Limbs”, organizzazione per disabili. Ha parlato a oltre 2 milioni di persone in 12 paesi; ha imparato a rispondere al telefono, radersi, lavarsi i denti, pettinarsi i capelli, versarsi un bicchiere d’acqua. Nel tempo libero gli piace pescare, nuotare, navigare, giocare a golf e a calcio. Lo scorso 13 febbraio ha avuto la gioia della paternità: con la moglie Kanae insegnerà molto al piccolo Kiyoshi James. 


Sarà un esempio per suo figlio, così come lo è stato per molti che ha incontrato durante la sua vita.




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(Tratto da Lipari.biz del 12 agosto 2014)

Perché creare un’apposita rubrica dedicata all'archeologia delle isole Eolie? Più in generale, perché studiare archeologia, così come materie quali il latino e il greco  considerate “morte” o troppo antiquate? La domanda, posta da un altro punto di vista, è “Perché no?”. L’archeologia e la storia fanno parte del nostro passato e possono insegnare tanto, come i valori sani e veri, possono aprirci la mente e darci risposte ai problemi esistenziali della vita, che infondo, sono rimasti invariati nei secoli. Insomma… Perché sono convinta della modernità della classicità! Questa breve premessa per darvi il benvenuto a bordo di questa nave “sui generis”, che porterà i lettori di “Lipari. Biz” indietro nel tempo, magari appassionandosi a un settore che può sembrare noioso ad alcuni, ma basta attualizzarlo, fare  capire che il passato ci rappresenta e bisogna valorizzarlo ed evitare eccessivi tecnicismi. Mescolate il tutto… e il gioco è fatto! Detto questo… Buon viaggio!


Oggi andremo nella splendida isola di Lipari, in cui i primi insediamenti umani risalgono probabilmente agli ultimi secoli del V millennio a.C.. Visiteremo in particolare lo splendido museo archeologicoregionale eoliano"Luigi Bernabò Brea" di Lipari (c’è una sezione distaccata a Filicudi e a Panarea), che ha inizio nel 1950, quando il campo di confino politico che aveva avuto sede sul Castello in età fascista venne disciolto e fu possibile dare avvio agli scavi ed alle ricerche archeologiche. I lavori furono condotti da Luigi Bernabò Brea, uno dei maggiori archeologi del XX secolo, e da Madeleine Cavalier,  altra grandissima archeologa che fin dal 1951, quale diretta collaboratrice di Bernabò Brea, assunse la direzione scientifica degli scavi di Lipari e di tutta l'attività archeologica nelle isole Eolie.


Il complesso museale sorge sul roccione del “Castello” di Lipari, un’imponente cupola di formazione vulcanica con caratteristiche di fortezza naturale; l’aspetto attuale deriva dalle possenti cortine a scarpa delle fortificazioni erette da Carlo V intorno al 1560, subito dopo l’attacco del pirata tunisino Kaireddin Barbarossa.
Il museo è attualmente suddiviso in sei padiglioni: sezione preistorica (interessanti le offerte votive databili tra il VI e V sec. a. C.), epigrafica, la sezione delle isole minori, classica (in 3 piani, in cui gli ampliamenti più significativi sono stati realizzati negli anni 80 e 90, quando sono state allestite nuove sale dedicate all'Archeologia sottomarina, alla collezione delle maschere e statuette teatrali e alla Lipari di età romana), vulcanologia (in 3 piani anch’esso) e la sezione di paleontologia del quaternario (straordinario per la sua unicità, un frammento pertinente allo scudo di una tartaruga terrestre, la quale risulta essere la più antica visitatrice… Forse era in vacanza!).

Alcune di esse si trovano all'interno di edifici di antica costruzione, come il seicentesco palazzo vescovile, vicino alla Cattedrale di S. Bartolomeo, che ospita il Padiglione di Archeologia Preistorica, e le vicine case Acunto, sede della Sezione di Preistoria delle isole minori, del padiglione di vulcanologia, della biblioteca e dei laboratori. La Sezione di archeologia classica, a nord della cattedrale, si trova invece all'interno di uno dei palazzi di età fascista costruiti intorno al 1920; allo stesso periodo appartiene il piccolo edificio destinato alla sezione epigrafica, alle spalle della Sezione Preistorica. Assolutamente da visitare. 

Quei saggi pinguini (con la gentile partecipazione di...)

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"Non posso darti soluzioni per tutti i problema della vita 
Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori, 
però posso ascoltarli e dividerli con te. 
Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro 
però quando serve starò vicino a te.
Non posso evitarti di precipitare, solamente posso offrirti la mia mano perché ti sostenga e non cadi. 
La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono i miei 
però gioisco sinceramente quando ti vedo felice.
Non giudico le decisioni che prendi nella vita 
mi limito ad appoggiarti a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi.
Non posso tracciare limiti dentro i quali devi muoverti, 
però posso offrirti lo spazio necessario per crescere. 
Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore 
però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo.
Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere 
solamente posso volerti come sei ed essere tua amica. 
In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amico 
in quel momento sei apparso tu... 
Non sei né sopra né sotto né in mezzo non sei né in testa né alla fine della lista 
Non sei ne il numero 1 né il numero finale e tanto meno ho la pretesa 
di essere il 1° il 2° o il 3° della tua lista"
Basta che mi vuoi come amica 
NON SONO GRAN COSA, 
PERO' SONO TUTTO QUELLO CHE POSSO ESSERE".


(Jorges Lois Borges)


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